Manifiesto 1 “Arcipelago Cosmo”. Rivista Trasdemar de Letterature Insulari

Obra de Charles Olsen (Nueva Zelanda)

Come luoghi diafani e nebbiosi allo stesso tempo, le isole e gli arcipelaghi hanno segnato capitoli decisivi nella storia dell’umanità, diventando punti di frizione, simbiosi, meticciati e scambi culturali. Su un’isola del Mediterraneo, Lesbo, nacquero i primi esempi conosciuti di poesia lirica, verso la prima metà del VII secolo a.C., e su un’isola dei Caraibi, Hispaniola, sorse la prima rivoluzione di schiavi trionfante nella storia, tra 1791 e 1804. Eppure, se tutta definizione può essere sottomessa a discussione, data la sua origine convenzionale, non possiamo lasciare di chiederci dove finisce un’isola e dove inizia un continente. É la Terra un arcipelago di continenti nell’oceano che copre i due terzi della sua superficie? È l’universo, l’arcipelago cosmo, una congiunzione d’innumerevoli corpi insulari che navigano nella notte del vuoto? È l’insularità un tratto definitorio della nostra presenza nel mondo? Se diamo retta a Derek Walcott, “avere amato un orizzonte è insularità”, perché proveniamo dalle isole e ci dobbiamo a loro, in una convivenza che trascende ogni confine.

Un’isola è definita più dalla sua storia che dalla sua geografia, perché nei versi di Pedro Salinas il tempo dell’isola “è contato / con magiche cifre”. Ogni insularità produce un insieme di rappresentazioni culturali tra i suoi abitanti e visitatori, in modo che gli immaginari diventano un’insularità condivisa. I suoi abitanti sono sempre stati guardati come gli altri, come le isole visitate. Dal loro status di enclave di transito, segnate da flussi commerciali e migratori, nonché dal fenomeno del turismo, le isole hanno sofferto una storia spesso tragica, piena di violenze e disuguaglianze strutturali, ma soddisfano le condizioni ideali per costruire società e culture cosmopoliti, che percepiscono l’altro non come un nemico, ma come una differenza piena di somiglianze, con cui si può creare un futuro comune. Si tratta del “prestigio delle isole”, di cui parla Eugenio Granell nella sua opera pittorica e letteraria.

llo stesso tempo, le isole appaiono spesso come periferie della cultura, lontane dai grandi centri continentali e dalle loro dinamiche di funzionamento globale, che tendono a relegare o escludere tutto ciò che si trova al di fuori dei loro limiti. In questa deriva storica, Trasdemar vuole presentarsi come un impegno per la diversità letteraria e culturale delle insularità abitabili, come pluralità e differenza, di fronte alle visioni centralisti della cultura promosse dal potere. Come afferma la filosofa Marina Garcés, viviamo attualmente in un “tempo postumo”, in cui le maggioranze sociali hanno abbandonato le loro aspettative di trasformazione della realtà per situarsi in una paura permanente dell’apocalisse, della distruzione del mondo conosciuto. Se le isole rinnovano indefinitamente i sogni e le speranze di un mondo migliore, dobbiamo popolare d’isole la condizione planetaria della vita e della cultura. La nostra vocazione consiste in restituire la profondità agli oceani.

Non accettiamo la condizione irreversibile della catastrofe e ci opponiamo agli impulsi autoritari che da sempre invocano la violenza come forma di controllo della vita, degli spazi e delle idee. Nella confusione di questo “tempo postumo”, abbiamo bisogno di rifare i legami tra cultura ed emancipazione, come propone Garcés, riaffermando la libertà e la dignità dell’esperienza umana per imparare da se stessa. Le letterature insulari trascendono, per la loro dispersione e originalità, i confini della merce e dei sistemi chiusi. L’arcipelago cosmo che evochiamo somiglia allo spazio esterno e al prodigio della mente umana, in continuo movimento dall’ignoto, così come la poesia si costruisce come polifonia e multiverso, come fenomeno che non conosce limiti o codici di barre.

La nostra scommessa critica non deve essere confusa con il progetto di modernizzazione che negli ultimi tre secoli ha dominato il pianeta, espandendo il capitalismo su scala inabitabile. Al contrario, il pensiero critico non smette di mettere in discussione questo progetto, generando alternative politiche e culturali in tempi d’incertezza. Le isole in cui Benjamin Péret scopre la sua stella marina offrono possibilità senza precedenti di creatività e fantasia per i posteri.

In questo senso, Trasdemar aspira a diventare un riferimento critico delle Isole Canarie, seguendo la tradizione delle riviste di cultura insulari, che raggiunge il suo apice con Gaceta de Arte e prosegue con varie pubblicazioni, da Planas de Poesía a Syntaxis e molte altre, nel divenire del XX secolo. Riconosciamo l’importanza dei nostri predecessori, come valore che ci permette di spingerci verso il futuro, e affermiamo il nostro scopo di generare uno spazio proprio dove gli autori insulari possano esprimere la loro visione della realtà attraverso letterature, immaginari ed arcipelaghi.

Così intendiamo offrire un habitat per la diversità, per le molteplici correnti e confluenze della letteratura contemporanea nell’era digitale, favorendo il dialogo aperto e la convivenza dei creatori. Questo impegno per la diversità è essenziale quando la cultura lotta per rimanere a galla, come i naufraghi ne La zattera della Medusa, in un mondo che affronta tutti i generi di rischi e minacce, sotto il peso di una crisi globale disumanizzante. Solo in questo modo le letterature possono rivendicare un umanesimo critico in un momento in cui la nozione stessa di umanità è in crisi.

Le isole sono il nostro patrimonio immateriale, l’arcipelago cosmo, le pagine bianche della storia futura.


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